L’indagine riporta l’avanzamento delle modalità con cui i 5 maggiori retailer italiani stanno affrontando il tema dei diritti umani nelle proprie filiere di produzione agroalimentare, contribuendo a eliminare sfruttamento e abusi nei campi. E sul tema dei diritti delle donne, solo Coop raggiunge un + 14%, mentre le altre quattro aziende ottengono un punteggio pari a zero, per il secondo anno
Grazie all’adesione di oltre 20 mila consumatori che hanno chiesto a Coop, Conad, Esselunga, Gruppo Selex e Eurospin di adottare misure a difesa dei diritti umani di chi coltiva il nostro cibo e maggiore trasparenza, quasi tutti i maggiori gruppi della GDO italiana hanno compiuto alcuni passi in avanti, dimostrando che la voce dei consumatori è importante per convincere le aziende a cambiare le proprie politiche.
Questo il bilancio a un anno dal lancio della campagna di Oxfam Al Giusto prezzo, in un nuovo rapporto e in una nuova pagella,rispetto al modo in cui la GDO tratta quattro temi chiave – trasparenza e accountability, diritti dei produttori di piccola scala, diritti dei lavoratori agricoli, diritti delle donne– all’interno della propria filiera di approvvigionamento agricolo.
Basandosi su dati pubblici resi disponibili dalle stesse aziende (QUI la metodologia) Oxfam ha analizzato i passi compiuti nell’ultimo anno dai 5 big della GDO in Italia per assicurare il rispetto dei diritti umani di tutte le persone coinvolte nelle loro filiere di approvvigionamento agricolo. Complessivamente, tutte le aziende analizzate hanno compiuto passi in avanti.
Coop mantiene in media punteggi più alti su tutti i parametri presi in esame,con un miglioramento complessivo del 13% delle proprie politiche. Significativi sono anche i progressi di Conad e Esselunga in tema di tutela dei lavoratori– entrambi + 25% – e di difesa dei piccoli produttori rispettivamente + 25% e + 21%. Selex, che ha messo in campo un progressivoimpegno in termini di trasparenza, con la pubblicazione di policy aziendali inerenti i diritti umani nelle filiere, e l’avvio di un importante progetto di produzione agricola etica. Un lavoro che porta l’azienda dallo 0% del 2018 ad un +23% nel 2019.
Nonostante questi progressi, dai risultati dell’indagine è allarmante constatare il completo ritardo degli operatori della GDO nell’integrare una prospettiva di genere nelle proprie politiche di approvvigionamento. Sul tema dei diritti delle donne, solo Coop raggiunge un + 14%, mentre le altre quattro aziende ottengono un punteggio pari a zero, per il secondo anno.
Già nella precedente edizione del Rapporto pubblicata a novembre 2018, Coop si era distinta ottenendo il punteggio più alto su tutti i parametri. Ora nella nuova edizione appena pubblicata, in tutti gli ambiti dell’indagine e mantenendo un netto e significativo distacco rispetto ai concorrenti, Coop migliora il suo posizionamento ottenendo un 40% come punteggio complessivo quando tutti i competitor si posizionano al massimo al di sotto del 30% .Coop è riuscita ad incrementare ulteriormente la sua posizione e mantenere il primo posto nonostante la maggiore difficoltà di attuare nuove azioni da leader e non seguire solchi già tracciati da altri. In particolare sul segmento trasparenza e accountability Coop sale al 46% (+13% su anno precedente), per i diritti dei lavoratori si posiziona al 54% (+12%), per i diritti dei produttori di piccola scala sale al 42% (+15%) e sul tema delle donne importanti azioni implementate per l’empowerment femminile con azioni sistematiche di monitoraggio permettono di raggiungere il 14% (+14%). “Abbiamo non solo confermato il risultato già raggiunto ma abbiamo ulteriormente migliorato su tutti gli aspetti distaccandoci in maniera significativa dagli altri retailer. Tutto ciò in linea con l’impegno che ci ha sempre caratterizzato. Sul tema delle donne siamo stati gli unici a mettere in atto azioni concrete e di ciò siamo particolarmente orgogliosi”.
L’effetto della pandemia sui milioni di piccoli agricoltori nel Sud del mondo
Oltre all’Italia, le misure di lockdown adottate da molti altri paesi del mondo stanno facendo emergere ulteriori evidenze delle condizioni di povertà e disuguaglianza che da anni attanagliano i produttori di piccola scala nei paesi in via di sviluppo. Già prima dell’impatto della pandemia da Covid19, il dossier pubblicato oggi delineava condizioni di grave sfruttamento dei lavoratori nei Paesi in via sviluppo, ad esempio lungo le filiere della frutta in Brasile e del tè che dall’India arriva in Europa e negli Usa. Con lavoratori agricoli ad esempio nella regione dell’Assam in India, costretti a sopravvivere sotto la soglia di povertà e a cui arriva solo il 7% di quanto ricavato dal prezzo finale al consumo, mentre supermercati e i grandi marchi del tè trattengono il 58%.
“Senza misure urgenti e immediate, moltissimi piccoli produttori rischiano di cadere ancor di più nella spirale della fame e della povertà estrema in Sud America, in Asia e in Africa. – conclude Bacciotti – Basti pensare a quanto sta accadendo in Africa occidentale, dove con l’impatto del coronavirus combinato con la stagione secca e il conflitto in corso nell’area,la popolazione è sempre più allo stremo e ilavoratori del settore alimentare sono impegnati in una strenua lotta per continuare a produrre cibo. I prezzi dei beni alimentari di base stanno schizzando alle stelle e in tutta l’area, secondo le stime di Oxfam e di altre 7 organizzazioni, fino a 50 milioni di persone potrebbero ritrovarsi alla fame entro agosto. Per sconfiggere questa pandemia, occorrono nuove politiche sia da parte dei Governi che da parte del settore privato, in grado davvero di non lasciare indietro nessuno