Con la fine dell’anno si è concluso “Tutti diversi, tutti uguali”, il progetto di integrazione che la cooperativa CIDAS ha ideato per creare momenti di incontro e conoscenza tra persone con caratteristiche diverse, di diversi contesti sociali, che difficilmente verrebbero a contatto tra loro, ma che insieme creano un prezioso patrimonio umano, dato dall’arricchimento reciproco.
Sviluppata nell’ambito del Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI) del territorio ferrarese, questa attività è stata concepita e realizzata in collaborazione con l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Ferrara e ha previsto la partecipazione di un gruppo di rifugiati assieme ad un gruppo di soci UICI.
Tre sono stati gli incontri in programma. Il primo si è svolto presso il centro Canottieri della Darsena San Paolo, in collaborazione con il CUS, Centro Universitario Sportivo, sezione canottaggio, ed ha previsto una prova di voga alla quale ha partecipato il gruppo di rifugiati con quello delle persone non vedenti, che segue abitualmente i corsi di canottaggio assieme agli atleti professionisti del centro. L’occasione ha stimolato un rapporto di mutuo sostegno tra i gruppi, che hanno saputo unire le rispettive e complementari abilità, generando, attraverso lo sport e l’attività all’aperto, un sano contesto di socializzazione.
“Per noi l’occasione è servita non solo a far conoscere la disciplina, ma soprattutto a mettere in campo il lato educativo di questo sport – ha detto Michele Savriè, responsabile della sezione canottaggio del Cus Ferrara – Infatti i ragazzi, partecipando ad una seduta in barca multipla, hanno potuto toccare con mano quanto sia importante fare squadra e coordinarsi individualmente per poter raggiungere un risultato di gruppo con un vero e proprio team building già dalle prime vogate. Come Cus siamo felici di partecipare a giornate come queste e spero possano avere un seguito”.
Nel secondo incontro, i partecipanti non vedenti hanno insegnato ai ragazzi stranieri le diverse tecniche di accompagnamento e hanno parlato dei problemi di mobilità autonoma di una persona con disabilità visiva. I ragazzi accolti, da parte loro, hanno raccontato delle difficoltà ad inserirsi nel contesto sociale che deve affrontare chi arriva da un altro paese. Tutti insieme hanno poi preparato e gustato specialità culinarie tradizionali delle rispettive culture: dalla torta con la mela ferrarese al riso benachin del Gambia.
L’ultimo incontro è stato dedicato alla fruizione collettiva del documentario “Un giorno la notte” di Michele Aiello e Michele Cattani, prodotto da ZaLab: un’esperienza sorprendente sia per il tipo di sguardo e di uso della telecamera, sia per la presenza di audionarrazione, che la rende fruibile anche a chi non vede. Racconta l’attesa della cecità da parte di un rifugiato del Gambia affetto da retinite pigmentosa, una malattia degenerativa che porta alla perdita della vista, un’attesa però non passiva, ma che si fa scoperta di impensate possibilità.
“Questi incontri sono stati un’occasione preziosa e unica di scambio, che ci ha avvicinato a ragazzi magari in difficoltà per il loro percorso di vita, un po’ anche loro disabili, in un certo senso, ma con tanta voglia di partecipare alle esperienze di socialità che Ferrara può offrire. Un po’ come noi: privati di un senso, ma pienamente e convintamente attivi nella società in cui viviamo”. Così ha commentato Alessandra Mambelli, presidente dell’Associazione Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Ferrara.
“Un ulteriore modo per trovare un terreno comune tra i due gruppi e farli sentire prossimi e affini” ha spiegato Francesco Camisotti, responsabile del Settore Società e Diritti di CIDAS, assieme a Marco Orsini e Anna Claudia Belloni coordinatore e operatrice dell’accoglienza di CIDAS. “Abbiamo progettato questi momenti di condivisione per fare un passo avanti nella conoscenza del contesto nella quale guidiamo i rifugiati che accogliamo. Porli di fronte ad elementi di diversità ci aiuta tutti ad uscire da schemi preconcetti e crediamo possa supportare anche loro a ricomporre e superare la propria sensazione di estraneità in questa nuova dimensione di vita e relazioni”.