L’8 novembre Il Resto del Carlino di Ferrara ha raccontato la vicenda dell’azienda ferrarese La Cavallerizza, che produce mozzarelle e altri prodotti realizzati con il latte di bufala: un’azienda agricola solida, che in quasi cinquant’anni di vita ha accumulato conoscenze e competenze d’eccellenza e che ora chiuderà, per mancanza di ricambio generazionale. Una attività florida, costretta a cessare perché nessuno porterà avanti quanto costruito (qui l’articolo).
Ma doveva necessariamente finire così?
Sul tema del ricambio generazionale è intervenuto oggi 12 novembre, sempre su il Resto del Carlino, il presidente di Legacoop Estense Andrea Benini, per raccontare l’opportunità delle cooperative nate come Workers Buyout, le imprese recuperate dai lavoratori. Di seguito il suo intervento, e qui l’articolo pubblicato.
«In Italia, circa il 70% delle imprese con un fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro è a matrice familiare. Di queste, il 25% è guidato da un leader di età superiore ai 70 anni e il 18%, quindi quasi una su cinque, sarà costretta ad affrontare il ricambio generazionale nei prossimi 5 anni. Questi dati, provenienti dall’Osservatorio Aub promosso da Aidaf (Associazione italiana delle aziende familiari), Unicredit e Bocconi, si aggiungono a quelli dell’indagine della Camera di Commercio di Ferrara, citati proprio su questa testata venerdì scorso, a conferma del fatto che il passaggio generazionale rappresenta un nodo cruciale e spesso critico nelle aziende italiane.
Il caso dell’azienda agricola “La Cavallerizza” è emblematico: se i figli non ci sono o non sono interessati a proseguire l’attività, spesso i titolari decidono di chiudere, disperdendo il patrimonio economico ma soprattutto di saperi e competenze che l’azienda ha accumulato negli anni. Sappiamo bene quanta fatica sia necessaria per avviare un’impresa. Sicuramente molta di più di quella necessaria per portare avanti un’attività già avviata. Allora perché non investire sul ricambio generazionale, tanto quanto sulle start up? Esiste uno strumento che assomma a sè le caratteristiche di una nuova impresa e le opportunità date dalla continuità: si chiama Workers Buyout, in italiano “impresa recuperata”, e può rappresentare una soluzione al mancato ricambio. La formula infatti prevede che siano i lavoratori a rilevare l’azienda, costituendosi in cooperativa, proseguendo così l’attività e mantenendo il posto di lavoro.
Legacoop da anni promuove la costituzione di cooperative da parte dei dipendenti delle aziende che rischiano di chiudere, sostenendone l’avvio attraverso i propri strumenti finanziari e supportando i lavoratori che necessitano di formazione e affiancamento per diventare imprenditori. Negli ultimi 10 anni, i lavoratori che hanno salvato il loro posto di lavoro e l’azienda, attraverso questa formula, sono circa 8.000 in Italia, di cui quasi 1.200 in Emilia-Romagna. Se consideriamo anche l’indotto, i posti di lavoro complessivamente salvati dai WBO raggiungono i 15.000 in Italia.
Recentemente anche la Camera di Commercio di Ferrara e Confindustria Emilia hanno riconosciuto la validità del modello dei Workers Buyoutnel contrasto alla dispersione dei patrimoni e delle competenze delle imprese a rischio chiusura, attivandosi concretamente per favorirne l’utilizzo. Nel primo caso, inserendo le “imprese recuperate” tra quelle destinatarie di contributi sull’ultimo bando multimisura; nel secondo caso sottoscrivendo un protocollo di intesa con Legacoop Estense e Legacoop Bologna per la promozione congiunta dei Workers Buyout. Protocollo che è già operativo e che prevede un percorso di informazione e formazione dei funzionari dell’Associazione e dei dirigenti delle imprese potenzialmente interessate che partirà mercoledì 13 novembre, presso la sede di Confindustria a Bologna. Gli imprenditori e i lavoratori delle imprese interessate da problemi di ricambio generazionale possono contare sul sostegno delle Associazioni di categoria, delle Istituzioni e, ci auguriamo, delle rappresentanze sindacali, che nella nascita di un Workers Buyout, come già avvenuto in altri casi proprio in questa provincia, possono dare ognuna il proprio contributo. È importante che lo sappiano, perché non vorremmo più vedere imprenditori di aziende sane che decidono di cessare l’attività, impoverendo ulteriormente il tessuto produttivo di questo territorio».