Fonte: nelPaese.it Inchieste/Reportage/Storie
Chiamiamola come vogliamo, questa piccola grande rivoluzione lavorativa è in realtà una rivoluzione anche sociale e culturale, sebbene imposta da un serrato susseguirsi di decreti nazionali, ordinanze locali e raccomandazioni medico-sanitarie cogenti.
La mia cooperativa, che è una cooperativa sociale di discrete dimensioni e attiva proprio nelle regioni di Emilia Romagna, Piemonte e Lombardia (sic!), ha subìto un duro colpo, come tante nel nostro settore, per le repentine e oscillanti misure preventive di chiusura e richiusura di servizi per l’infanzia, per disabili, per anziani e per altre categorie fragili. Ma negli ultimi giorni, di fronte all’inevitabile e necessaria sospensione di più della metà delle nostre attività, la Direzione è riuscita ad approntare a tempo di record un sistema di efficiente e consapevole ridistribuzione dei carichi di lavoro, sospendendo quelli non strettamente necessari e riorganizzando quelli che occorre portare avanti, anche in modalità ridotta, per la tutela degli ospiti e dei lavoratori rimasti attivi.
Se infatti è vero che una metà dei nostri servizi è stata chiusa, l’altra metà che sta lavorando ha necessità di farlo in condizioni difficili e stressanti, con maggiori cautele, con acquisti di forniture specifiche e con un costante aggiornamento rispetto alle informazioni provenienti da Stato, Regioni, Comuni, in raccordo con la sede tecnico amministrativa di Modena.
Innanzitutto, alle funzioni che possono non sospendere la propria attività e che riescono a lavorare da remoto, con una connessione internet e dotazione strumentale adeguata, è stato accordato – come alla sottoscritta – il famoso telelavoro, o smartworking che dir si voglia. Alle funzioni impegnate in prima linea nei servizi rimasti aperti, come le strutture residenziali o l’assistenza domiciliare considerata non differibile, sono stati assegnati i supporti necessari, dal punto di vista delle risorse umane, degli acquisti, della consulenza medico-legale, delle procedure di sicurezza e di divulgazione delle corrette informazioni. Infine, ad alcune funzioni legate ai servizi chiusi è stata chiesta la disponibilità ad assumere incarichi aggiuntivi di monitoraggio e supervisione delle operazioni speciali legate alle procedure di contenimento del Coronavirus, istituendo un’apposita commissione interna.
Nel mentre, si cerca di lavorare anche, ovviamente, in prospettiva futura, pensando a quali saranno le opzioni di recupero delle attività quando tutto sarà tornato alla normalità, quali saranno gli statuti che interverranno a tutela dei colleghi rimasti a casa dal lavoro, come riprogrammeremo le attività annullate, ad esempio le assemblee dei soci e la commissione elettorale, e tanti altri spunti su cosa cambierà nelle nostre strutture. Come già dai primi decreti, sono stati aboliti incontri e assembramenti, sono state adottate le misure di sicurezza e sanificazione, esposta la cartellonistica, collocati i distributori di soluzioni idroalcoliche e predisposti turni di lavoro essenziali nel rispetto delle distanze e degli spazi di lavoro stabiliti.
Le videochiamate, o conference call che dir si voglia anche qui, sono diventate pane quotidiano, le chat sono diventate luogo di incontro reale, le telefonate si sono fatte più lunghe ma di certo più cortesi e meno sbrigative, perché bisogna riuscire a farsi capire a voce, senza cenni, sguardi, strette di mano e tutta quella gestualità che ci caratterizza, come italiani, e credo che un po’ ci manchi già. Non solo come persone, ma anche nei nostri ruoli professionali. Ma sappiamo che è necessario e credo che in questa difficile fase di adattamento funzionale stiamo gettando le basi per qualcosa che in futuro potrebbe tornarci utile e diventare (anche) una buona prassi aziendale: siamo infatti diventati più virtuali per essere meno virali. Il “lavorare da casa” sembrava essere appannaggio solo delle grandi ditte, delle multinazionali, delle aziende dotate di poteri elettronici fuori dal comune, ma da lunedì 9 marzo non è così, tutti, grandi e piccoli, moderni o vecchia maniera, tecnologici o non, stanno provando a fare la loro parte e a ri-pensare il lavoro in un modo innovativo, che fino a poco tempo fa era impraticabile. Ricordo bene quella volta che, con un metro quasi di neve in città caduto nella notte, andai al lavoro a piedi, impiegandoci un’ora in moonboot e tenuta da sci, per andare a fare le deviazioni ai telefoni di reperibilità dei servizi che coordinavo.
Ricordo anche che nel periodo del sisma che colpì l’Emilia Romagna nel 2012 avevamo istituito diverse unità di emergenza e che cambiavo spesso ufficio e postazione, tra una scossa di assestamento e l’altra, per cercare di portare avanti i servizi del mio settore. E poi ci sono state altre nevicate, alluvioni, giornate di afa paralizzante, e sono sempre stata disposta a spostarmi in ogni modo – a piedi, in bici, in bus – per raggiungere l’ufficio, il computer, il telefono quando era necessario farlo, anche in condizioni di disagio. Ma stavolta sono felice e plaudo alla scelta della mia cooperativa Gulliver, così come di tante altre aziende del territorio, che – complice anche il progresso tecnologico che ci è venuto incontro e ci ha agevolato nel gestire le distanze con un click – ha saputo fare un cambio, o switch che dir si voglia ancora, di mentalità subitaneo e significativo, coerentemente con le limitazioni e le riduzioni incorse nelle ultime settimane.
A volte per agire un cambiamento occorrono stimoli forti e tempi improcrastinabili, ma il risultato può portarci a percorrere strade che non avremmo previsto in origine se sappiamo cogliere la sfida in modo coraggioso e consapevole. E secondo me è qui la forza della cooperazione sociale: saper conciliare la corretta politica del #iorestoacasa per la sicurezza collettiva con la presenza importante e resistente del #noicisiamo per il benessere collettivo.
Alessia Bellino – coop sociale Gulliver