Che fare, allora?
«I posti di lavoro si creano con gli investimenti e dunque con un efficace utilizzo dei fondi del Recovery Plan. Prima finisce la battaglia politica, per altro lontana dalle reali esigenze del Paese, e meglio è. Aspettiamo con ansia quello che succederà tra oggi e domani in Parlamento. È incredibile che sia arrivati a questo punto».
Sorpreso dalle mosse della classe politica?
«Sì. La responsabilità non è solo di Renzi ma anche delle altre forze della maggioranza. Il braccio di ferro si è protratto troppo, ora rischia il sistema-Paese. Da parte della politica ma anche della classe dirigente, compresa quella economica, serve un atto di generosità nei confronti di cittadini ».
Generosità?
«Dobbiamo tornare allo spirito che nel maggio scorso ha portato alla firma dell’ accordo per la riapertura del Paese in sicurezza. Quel senso di responsabilità e unità che aveva portato alla firma dell’ accordo io non lo vedo più. Non lo vedo nel governo ma anche in Confindustria, che allora ha fatto da traino e da collante e che adesso sembra invece impegnata in polemiche, spesso sterili e a volte immotivate nei confronti dell’ esecutivo».
Non basta un appello ai buoni sentimenti per ripartire…
«Il tema è ritrovare le ragioni che ci uniscono. L’ Italia avrebbe bisogno di uno Stato in grado di accompagnare, anticipare e creare le condizioni perché l’ apparato economico, in particolare quello del Nord, possa espandersi. E deve farlo soprattutto adesso che i ristori e le altre misure non possono essere usati per sostenere l’ economia sommersa, concentrata soprattutto al Sud. C’ è il rischio dare spazio alla criminalità organizzata. E le possibilità di un’ esplosione della rivolta sociale sono altissime».
Che cosa serve?
«È necessario che la classe politica si resetti: dobbiamo prepararci ad una maratona e non ai 100 metri. La scorsa estate tutti sono rimasti sbalorditi dal rimbalzo del Pil. Ma quella capacità di reazione non sarà sufficiente se sarà frenata dalla burocrazia, anche regionale».
Proposte?
«Servono concretezza, chiarezza e semplificazione. Il piano Next Generation non è da buttare via, sicuramente è modificabile e può essere l’ occasione per riprendere il confronto con le parti sociali. Un confronto che parta dalle proposte messe in campo e che in tempo breve le trasformi in fatti, individuando i cantieri e i progetti che si potranno realizzare a partire dal 2021 con i fondi del Recovery. In questo modo si potrà anche capire dove, come e quando si creeranno nuovi posti di lavoro e pianificare una strategia per sbloccare i licenziamenti in modo graduale a partire da quelli meno dei settori colpiti».
Non è un libro dei sogni?
«No. Dobbiamo affrontare i tempi del presente – dai ristori alle vaccinazioni – ma nello stesso tempo attivare le riforme . E poi è necessario semplificare gli strumenti per realizzare i progetti. E si torna al Next Generation Italia: se si ragiona in una logica pluriennale, si possono pianificare e realizzare progetti con una stretta cooperazione tra pubblico, privato e privato sociale».