Su La Stampa del 9 dicembre 1973 Pier Paolo Pasolini scriveva «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. […] Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo”.
Se il benessere degli anni ‘60 dà nuovo impulso anche alle case del popolo, dall’altro, anche per i motivi addotti da Pasolini, rappresenta l’inizio di un cambiamento che si rivelerà irreversibile a partire dalla fine degli anni ‘80. La maggiore mobilità e l’emergere di nuovi bisogni culturali, la disponibilità di altri luoghi di aggregazione, la lenta ma inesorabile disaffezione per la partecipazione politica, l’affermazione di modelli più individualistici, tutto ciò porta ad una crisi delle case del popolo, anche dal punto di vista economico. A partire dagli anni Novanta molte delle cooperative che le hanno in gestione affittano a privati i bar o si uniscono nella Cooperativa delle Case del Popolo con sede a Ferrara per poter fare fronte alle spese, altre chiudono. Tuttora sono molti gli stabili chiusi che richiederebbero investimenti consistenti per una ristrutturazione e la messa in sicurezza. Altre case, dopo un periodo di chiusura, hanno ripreso le attività anche grazie ai Circoli Arci presenti al loro interno. Come emerge dal documentario girato nel 2023, questi luoghi ove siano stati chiusi, hanno lasciato un vuoto profondo, soprattutto per integrare comunità di paese che avrebbero ancora bisogno di quel tipo di partecipazione e vivacità che hanno caratterizzato la lunga storia delle case del popolo.