L’entrata in guerra dell’Italia, nonostante la propaganda, non fa che peggiorare le condizioni materiali e sociali della popolazione. Tuttavia, è soprattutto dopo la caduta del Fascismo, il 25 luglio 1943, che la guerra entra letteralmente nelle case e produce le devastazioni peggiori. Già all’indomani della destituzione di Mussolini, Hitler dà l’avvio all’operazione “Alarico”, ovvero l’invasione da parte dell’esercito tedesco e dei reparti delle SS e delle SA del territorio italiano con l’intenzione di occuparne le strutture produttive e sfruttarne la manodopera e le risorse disponibili. Al contempo, gli Alleati risalgono la penisola partendo dalla Sicilia e liberando, con il concorso della Resistenza, le regioni meridionali e centrali per poi fermarsi, nell’autunno del 1944, nella valle del Santerno a est (dopo aver liberato Rimini e Forlì) e in prossimità della Linea Gotica a ovest. Fino all’aprile 1945 sono lunghi mesi di stallo, durante i quali l’Emilia Romagna e tutto il nord Italia subiscono i bombardamenti alleati e soprattutto la feroce opera di repressione antipartigiana, le requisizioni, i rastrellamenti e le uccisioni perpetrate delle forze naziste con la fattiva collaborazione fascista degli aderenti alla Repubblica di Salò.
Nel territorio della provincia di Ferrara è nella zona dell’argentano e nelle Valli di Comacchio che la guerra e la lotta partigiana si rivelano particolarmente dure. Qui la Resistenza deve fare i conti anzitutto con un ambiente naturale molto esposto, privo di protezioni come invece può essere quello della montagna e della Linea Gotica. Qui i tedeschi presidiano e rafforzano una delle linee più solide, la Linea Gengis Khan, che unisce la valli di Comacchio a Bologna passando per Argenta e le valli dell’Idice, del Santerno e del Senio. Qui, ancora, tra Argenta e la Romagna si crea quella che gli storici chiamano “la Stretta di Argenta”, una sorta di collo di bottiglia che per gli Alleati è necessario sfondare per poter proseguire verso Ferrara e verso nord. In questa situazione si rivela essenziale, per il movimento partigiano, la collaborazione (o almeno il tacito consenso) della popolazione sia per
l’approvvigionamento di vestiario e di cibo sia per la protezione della clandestinità e delle informazioni utili sul piano militare. La diffusa rete di piccoli nuclei combattenti, i SAP (Squadra d’Azione Patriottica), adatti ad un territorio così esposto, può dunque contare sulla profondità e sull’unità con cui la popolazione delle campagne, braccianti e contadini, aderiscono alla causa antifascista. Adesione che ha radici lontane, nella forza con cui in queste zone al confine con la Romagna si era diffuso capillarmente il modello cooperativo. Ed è proprio il Collettivo di Filo d’Argenta che nel 1944 gioca un ruolo essenziale nella Resistenza in questi territori.
Sin dall’aprile 1944 nelle valli di Campotto viene costituita una base per il rifornimento per partigiani e soldati fuoriusciti, coordinata dalla Brigata 35/bis “M.Babini”, che oltre al rifornimento si occupa anche di coordinamento delle operazioni militari e delle cure mediche ai partigiani feriti e alla popolazione civile. Nell’estate del 1944 il C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) di Ravenna dà indicazione di prepararsi alla semina di ogni terreno utilizzabile: nel momento in cui gli Alleati romperanno le linee nemiche e i tedeschi inizieranno la ritirata servirà una quantità di cibo superiore, anche per scongiurare il rischio di una carestia per la popolazione locale. Bisogna
dunque seminare il più possibile, in particolare grano e barbabietole, e sottrarre quanto più raccolto possibile alle
requisizioni tedesche. Bruno Natali, elemento di collegamento tra il CLN di Ravenna e Filo d’Argenta, organizza la
raccolta dei semi, andando casa per casa dai proprietari e dai fattori che ne possiedono. Viene coinvolta persino la grande proprietà della “Lodigiana” che acconsente all’utilizzo della parte coltivabile delle sue terre, con cessione alla proprietà del 10% del raccolto. Anche il comando tedesco acconsente, probabilmente ignaro almeno in parte del reale motivo di una tale azione.
Comune quindi è la raccolta dei semi, in comune viene messa dai vari partecipanti la terra (anziché rimanere
vincolata ai singoli che ne beneficiavano, nel collettivo ogni terreno reso disponibile dalla grande proprietà e
assegnato ai compartecipanti viene di fatto riaggregato e lavorato democraticamente tutti inseme, in modo da
evitare che ad alcuni vengano assegnati lotti meno produttivi di altri, e garantendo così a tutti una produttività
media), in comune vengono messi gli attrezzi e infine il raccolto viene assegnato tra i vari lavoratori a seconda
dell’oper prestata e delle necessità. Così, nel momento di maggiore difficoltà per la piccola comunità di Filo, nasce un collettivo di circa 1300 braccianti che dopo la primavera del 1945 continua a cresce, rimettendo in funzione la fornace e producendo i mattoni necessari alla ricostruzione. La stessa fornace ha anche uno scopo solidaristico, ovvero dare lavoro a coloro che non sono in grado di prestarsi al duro lavoro dei campi devastati dalle mine e dalle bombe o allagati dai tedeschi in ritirata.