I grandi scioperi

La ribellione dei lavoratori avventizi e giornalieri delle terre della bassa del Po ebbe origine sia da motivazioni di carattere internazionale sia interne: il calo del prezzo della canapa a livello mondiale e i raccolti del 1896, pesantemente danneggiati dalle precipitazioni consistenti, diedero, infatti, il colpo di grazia all’economia locale. Le condizioni di quei lavoratori, che certo non potevano definirsi accettabili prima della crisi, a fronte del calo spesso drastico delle giornate di lavoro, determinato sia dal calo del lavoro in agricoltura sia da quello delle opere effettuate dai consorzi di bonifica per mantenere in equilibrio le terre emerse, peggiorano drasticamente.


In alcuni decenni, in quelle zone, vi era stato un enorme incremento di manodopera, determinato in primis dai lavori legati ai progetti di bonifica, e, quindi, dalla necessità di trovare manodopera che lavorasse tutta quella terra “emersa” grazie alla tecnologia e al sudore di migliaia di OPERAI.


Da diverso tempo, tra le diverse occupazioni esistenti nella valle del Po, si era impiantata la risaia, una risaia di palude, detta “stabile” che nel Polesine, nel ravennate, nell’argentano dava lavoro soprattutto a moltissime donne.


Il 1897 fu un anno epocale nella storia dei lavoratori agricoli delle campagne ferraresi: se il professore di politica economica e statistica Sitta, futuro rettore dell’Ateneo estense e senatore fascista, proprio in quei mesi aveva sottolineato la portata dirompente del processo di concentrazione nelle mani di pochi di proprietari terrieri e delle società di bonifica, va sottolineato che un altro aspetto stava minando gli equilibri di quel mondo. Conseguentemente alle numerose innovazioni che si stavano affacciando nel campo agricolo, si stava verificando un sempre più accentuato processo di meccanicizzazione di quel settore. I grandi proprietari e le società di bonifica non erano per nulla interessate agli equilibri sociali: il loro unico interesse era quello di aumentare i profitti ed il loro capitale e per questo diedero inizio ad un sempre più consistente processo di espulsione dei contadini dalla terra. Nei luoghi delle bonifiche, quei lavoratori che avevano prestato servizio come obbligati, si andarono ad aggiungere all’altissimo numero di disoccupati: pescatori, cacciatori, lasciati senza lavoro dalla “morte” della palude con la quale avevano secolarmente convissuto, ma soprattutto tutti quei lavoratori che erano arrivati nel Ferrarese da Rovigo e da Ravenna per partecipare ai lavori di prosciugamento e che, poi, erano stati licenziati.


La situazione economico-sociale divenne in breve drammatica anche perché il Ferrarese mancava di un tessuto industriale che, almeno in parte, potesse assorbire l’esubero di lavoratori delle campagne. Si trattava di una situazione esplosiva, anche perché le condizioni dei lavoratori ferraresi delle campagne era atavicamente gravissima al punto che, nel 1876, il prefetto Giacinto Scelsi faceva notare come tra il 1860 e il 1876 le retribuzioni dei boari e dei braccianti avessero stentato a seguire l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, e invocò la concessione ai boari di migliori retribuzioni. Non essendoci state, con il passare degli anni, le condizioni igienico-sanitarie della popolazione della provincia estense peggiorarono progressivamente.

Qualcosa di nuovo stava accadendo nella storia delle campagne tra Bologna e Ferrara dove per secoli i lavoratori delle campagne avevano vissuto in condizioni, per la stragrande maggioranza di loro, miserabili: furono le donne, infatti, le mondine di Molinella, indicendo nel giugno del 1897 uno grande sciopero, ad accendere la scintilla della ribellione che avrebbe condotto alle epocali mobilitazioni ferraresi del 1897. Alle scioperanti della provincia bolognese, l’11 dello stesso mese si aggiunsero alcune operaie delle risaie ferraresi che raggiunsero la cittadina emiliana per sostenere la lotta delle colleghe e, dopo aver partecipato a quella mobilitazione, una volta tornate a casa finirono per trasferire nella realtà estense, travagliata da povertà e disoccupazione, le istanze delle lavoratrici di Molinella.


Che il ruolo delle donne anche all’interno della società agricola stesse cambiando si evince con chiarezza da quanto scritto e a conferma di ciò, anche nel Ferrarese, le prime a scendere in lotta furono le mondine argentane.


Immediatamente le autorità mostrarono che avrebbero agito con durezza, cercando di reprimere gli scioperi che, temevano, dal bolognese sarebbero dilagati, come effettivamente accadde, nonostante il tentativo dell’onorevole socialista Costa di mediare per concludere le mobilitazioni.


Da Argenta a Portomaggiore, da Ariano a Denore, a Ostellato, Migliarino, Massafiscaglia, ed altri luoghi della provincia le azioni di sciopero si moltiplicarono e si dovette attendere l’11 luglio perché i giornali locali riportassero la notizia di un miglioramento della situazione, dopo che il 10 luglio la “Gazzetta ferrarese” aveva dato la notizia dell’uccisione di un operaio addetto alla trebbiatura della tenuta Burina, Pietro Gherardi di Monestirolo, ad opera di un guardiano della bonifica, Giuseppe Ricci, che aveva fatto fuoco su di lui ed altri due giovani perché lo avevano offeso.

Quello che di veramente importante avvenne in seguito a quelle durissime lotte, la storia lo avrebbe poi dimostrato, fu, secondo la “La Rivista”, la creazione di una commissione che doveva discutere i patti agrari. Il 16 luglio 1897 il giornale scriveva “Sono cent’anni e più che vigono i patti attuali e si ritenevano intangibili. Ora per un sentimento di equità e di opportunità i proprietari stessi riconoscono che devono essere cambiati”. La lotta aveva condotto ad un successo concreto e sino a qualche tempo prima impensabile, ma, cosa ancora più importante aveva sancito un principio rivoluzionario, che avrebbe cambiato la storia dei lavoratori di un paese, l’Italia, ancora estremamente arretrato, quello della “rappresentanza”, che costringeva i proprietari ad accettare, per la prima volta, che un contadino, a nome di tutti i suoi colleghi, della provincia, partecipasse alla commissione che doveva elaborare i nuovi patti agrari.