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Il terrore agrario, i giornali agrari e cattolico-conservatori pompano il terrore borghese

Le vittorie elettorali socialiste e gli ottimi risultati ottenuti dai popolari nelle elezioni politiche del 1919 e nelle amministrative del 1920 producono una forte reazione all’interno del potentissimo gruppo degli agrari ferraresi, a ribadito, i più importanti d’Italia in quel frangente. Dopo l’iniziale smarrimento, prodotto dai risultati nazionali, furono le elezioni  amministrative a gettare nello sconforto più totale gli agrari, padroni non solo delle terre della provincia, ma anche di Ferrara, una città quasi totalmente priva  di proletariato di fabbrica; una città costruita ad “uso e consumo” dei potenti proprietari terrieri e delle loro famiglie, i cui componenti maschi spesso finivano per diventare esponenti dei gruppi professionali più elevati, medici e avvocati, ad esempio.

Agli inizi del 1919, intanto, a  Ferrara era stato fondato da un giovane reduce, Olao Gaggioli, che si era legato ai “fasci futuristi di Marinetti”, un gruppo che il suo fondatore assicurava avesse solo interessi letterari;  ben presto, invece, il gruppo si rivelò orientato verso la lotta contro i socialisti e le Leghe bracciantili. Fu sempre Gaggioli a costituire, successivamente, le “squadre d’azione”, cioè gruppi di picchiatori,  che ben presto si rovesciarono nelle campagne per scontrarsi con i socialisti. 

Il lavoro di costruzioni delle squadre di picchiatori fu così ben organizzata che, in breve, divennero famosi in tutta la regione e il 21 novembre 1920, il ras bolognese Arpinati, sapendo di poter contare su di un gruppo locale molto meno organizzato rispetto a quello estense, fece richiesta a Gaggioli di inviare i suoi uomini nella città felsinea per provocare scontri e impedire così l’insediamento della giunta socialista. Fu proprio il gruppo ferrarese, guidato da Alberto Montanari – lo stesso che darà il la allo scontro con i socialisti a Ferrara il 20 dicembre del 1920 – a dare l’assalto a Palazzo d’Accursio, il palazzo comunale bolognese, rompendo il cordone delle forze dell’ordine, assediando il palazzo dove si stava insediando la giunta e causando una vera e propria carneficina.

Stante la situazione, gli agrari compresero, dopo qualche mese, che questo gruppo di violenti, che inizialmente però sembravano avversi agli agrari, considerati grandi capitalisti e, quindi, in base al programma di fondazione dei fasci  del 1919 nemici giurati,  poteva offrire interessanti possibilità nella lotta contro i braccianti, le Leghe, i socialisti.

Iniziarono, così a lavorare, partendo dalla “paciosa” città estense – dove oltre agli scioperi per il carovita, che coinvolgevano tutte le categorie, nulla di particolarmente violento era mai accaduto – per fare in modo che la borghesia cittadina si avvicinasse al fascismo. Iniziò cosi un martellante lavorio giornalistico, messo in atto soprattutto della Gazzetta Ferrarese, ma in breve anche dal periodico di Grosoli “La domenica dell’operaio”, perché le violenze fasciste, che cominciavano ad essere sempre più frequenti, venissero interpretate non come fini a se stesse, ma atte  a mantenere uno status quo borghese che i socialisti, invece, volevano sovvertire a favore delle masse lavoratrici e proletarie.

Nel mentre, proprio dopo che l’attacco fascista a Palazzo d’Accursio aveva ottenuto l’effetto di bloccare l’insediamento della giunta socialista, gli agrari estensi compresero che, per indirizzare il fascio ferrarese verso quelli che erano i loro obiettivi, ovvero cancellare il movimento bracciantile e quanti si opponevano allo strapotere agrario, era necessario impadronirsene. Venne deciso così di attuare la strategia di una iscrizione di massa di agrari al fascio ferrarese, cosa che, in nemmeno un mese, portò ad una forte crescita delle adesioni al gruppo e, pochi giorni prima dell’eccidio del Castello estense del 20 dicembre del 1920, alle iniziali dimissioni di Olao Gaggioli (rientrerà successivamente) che non voleva sottomettersi alla avversata svolta agraria. La volontà di Vico Mantovani e di Grosoli era quella di cancellare l’esito di elezioni democratiche che erano state vinte in maniera inequivocabile dai socialisti: un’azione eversiva, condotta con strategie che oggi definiremo mediatiche  ed accompagnate dalla crescita esponenziale, organizzata e mirata della violenza.