Gli agrari ferraresi, tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento, erano i più potenti d’Italia ed erano in grado di influenzare le decisioni non solo economiche dell’intero settore.
Dopo le grandi bonifiche, per rendere ancora più alti i propri guadagni decisero che per lavorare le terre nuove emerse dopo le bonifiche non avrebbero più usato contadini legati ai proprietari dei terreni da contratti di boaria, mezzadria, compartecipazione, affitto, che ne determinavano la stanzialità sui terreni da lavorare, ed il beneficio di una casa nella quale vivere limitrofa ai terreni.
Per aumentare i propri guadagni, infatti, decisero che sui nuovi terreni non avrebbero costruito case per le nuove maestranze e quindi, per lavorare quelle terre, si sarebbero serviti di operai agricoli a giornata, uomini e donne che la sera sarebbero tornati nelle proprie abitazioni.
Nasceva cosi, proprio tra Ferrara e Rovigo, il bracciante agricolo, un operaio senza diritto alcuno, se non quello di lavorare ore ed ore, spostandosi a piedi da un fondo all’altro, spesso in paesi molto lontani dal luogo di residenza, seguendo le chiamate dei padroni dei terreni, per una paga da fame e poche ore di sonno.
La vita di questi lavoratori, i nuovi “servi della gleba”, novelli schiavi al servizio di un capitalismo agrario che interpretava la “modernizzazione”, in atto in molte parti del mondo, semplicemente come un diritto sacrosanto a “spremere” il lavoratore il più possibile, dando in cambio la più misera delle paghe, rappresentò un evidente salto all’indietro rispetto a quella dei lavoratori della terra, che non potevano certe definirsi benestanti e che però potevano contare su contratti che consentivano loro di vivere sul fondo che lavoravano.
Svegli all’alba, si muovevano a piedi da un paese all’altro, raggiungendo i luoghi nei quali c’era bisogno della loro fatica. Lavoravano duramente per ore, si sostenevano con il poco cibo che i loro poveri salari consentivano e, distrutti dal lavoro, si sobbarcavano ore per tornare a casa, mangiare un povero pasto, dormire poco o nulla e riprendere di nuovo lo stesso tipo di giornata. Alla luce di ciò non stupisce che l’aspettativa di vita di quegli uomini e quelle donne fosse di meno di trent’anni.
Uomini e donne senza nulla da perdere che in breve tempo, grazie anche al partito socialista ed alle associazioni sindacali, diventeranno protagonisti di lotte epocali, in alcuni casi vincenti, per la conquista di miglioramenti economici e di diritti solo qualche decennio prima impensabili.