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L’affermazione dei partiti di massa

Dopo tante promesse fatte dai governi guidati dai liberali Salandra, Boselli e Orlando, succedutisi nel quadriennio di guerra, ai soldati che resistettero per quattro anni nella tragedia senza precedenti che fu il primo conflitto bellico mondiale, caratterizzata da incapacità delle alte sfere militari, condizioni di vita drammatiche, determinate dalle scarsità alimentari e dalle mancanze tecniche ed addestrative, l’unica concessione, certo fondamentale, che venne fatta a quei giovani, tornati a casa ammalati nel corpo, ma spesso anche nell’anima, fu quella della concessione del suffragio elettorale maschile, senza più limitazioni rilevanti.


Con la legge n. 1695 del 16 dicembre 1918, promulgata dal governo del liberale Vittorio Emanuele Orlando, fu, quindi, ampliato l’elettorato, sempre esclusivamente maschile, a tutti i cittadini con età maggiore ai 21 anni o che avessero prestato il servizio nell’esercito mobilitato.


Si trattava di un adeguamento, seppure limitato perché escludeva le donne che pure si erano rese protagoniste dello sforzo bellico assumendo ruoli di ogni genere e livello nella società civile, al cambiamento di una realtà che, già dagli ultimi decenni dell’Ottocento, si avviava a divenire di massa, composta cioè da soggetti collettivi, le classi sociali, i popoli, i lavoratori e anche le donne che cominciavano a lottare per la propria indipendenza.


I vecchi partiti, formati da gruppi elitari che rappresentavano élite molto esigue che venivano eletti in parlamenti a suffragio ristretto sulla base del censo, non potevano più rappresentare il nuovo modello di società che stava nascendo. I partiti di massa, caratterizzati, invece, da una vasta base elettorale, da luoghi di incontro, le sezioni e le federazioni, dalla disciplina di partito e da una organizzazione dirigenziale che aveva il compito di elaborare le istanze provenienti dal basso, stavano prendendo sempre più piede. In Italia, i partiti di massa fondamentalmente erano due, i socialisti e i popolari. E con questi si dovette confrontare il più aristocratico e ristretto gruppo liberale.


Le elezioni italiane del 16 novembre 1919 furono le prime a fare uso di un sistema proporzionale, questo aspetto, unito alla concessione del suffragio elettorale maschile che determinò un importante ampliamento della base elettorale, sancirono per sempre la fine del monopolio liberale all’interno del Parlamento. I risultati a favore del Partito socialista e di quello popolare furono eclatanti e il gruppo dirigente liberale fu messo drammaticamente di fronte alla fine di uno strapotere, determinato da un cambiamento sociale del quale pareva impossibile invertire la rotta.


Se a livello nazionale la vittoria socialista e il risultato dei popolari fu rilevante, quello che accadde nel Ferrarese assunse le sembianze di una vittoria plebiscitaria. I socialisti, guidati da Gaetano Zirardini, che seppe catalizzare i proletari della provincia, seppur battuta nei seggi cittadini, in quasi tutti i centri rurali, ottennero una vittoria strabiliante Ancora più forte il consenso nelle elezioni amministrative, quando la provincia estense si configurò come “la più rossa” d’Italia.


I gruppi dirigenti ferraresi, che sino a quel momento avevano retto la politica cittadina e provinciali, si trovarono di fronte a quello che solo qualche tempo prima pareva impossibile: in Municipio avrebbero preso posto, e in numero maggioritario, i rappresentanti del partito socialista e tra loro diversi esponenti del proletariato, fatto che per quella aristocrazia agraria rappresentava un vero e proprio sovvertimento di quella che loro consideravano quasi una sorta di legge divina: solo i ricchi borghesi e gli aristocratici potevano governare. Nell’anno che aveva separato le due tornate elettorali gli agrari ferraresi e il loro capo Vico Mantovani, appoggiato da Giovanni Grosoli, esponente del cattolicesimo conservatore, che presto si sarebbe fatto reazionario, e potentissimo uomo della finanza cattolica e dell’editoria, di fronte ad un avversario tanto numeroso cominciarono a lavorare quel cambiamento sociale che li terrorizzava.