Le Cooperative

La prima cooperativa in senso moderno fu la “Rochdale Pioneers Society”, la Società dei Probi Pionieri di Rochdale, fondata nel 1844, nei pressi di Manchester, da ventotto tra operai tessili e artigiani che si associarono, mettendo in comune una piccolissima somma a testa, il massimo che potevano detrarre dai loro miseri stipendi, con l’obiettivo di aprire uno spaccio cooperativo che consentisse anche ai più poveri di acquistare i generi di prima necessità. Successivamente l’obiettivo divenne quello di investire gli eventuali profitti in attività che creassero posti di lavoro nuovi.


Il successo dell’iniziativa fu tale che ben presto l’attività si espanse e i “Pionieri” stesero uno statuto nel quale fissarono principi fondamentali ed ancora oggi alla base dell’intero movimento cooperativo: la condivisione fra i soci di valori e interessi, la democrazia interna, la tolleranza religiosa, il diritto all’istruzione, la parità tra i sessi (a cominciare dal riconoscimento del diritto di proprietà anche per le donne, non contemplato dalle leggi dell’epoca), la solidarietà.


Il primo a portare in Italia le idee dei “Pionieri” era stato Giuseppe Mazzini, esule in Inghilterra dal 1837, che era rimasto affascinato dall’ associazione del capitale, dell’intelletto e del lavoro e con lui erano stati ben Impressionati dall’esperienza cooperativa anche Aurelio Saffi e Giuseppe Garibaldi. La cooperazione di lavoro arrivò quindi fattivamente in Italia con la mediazione di Mazzini e di un medico, suo amico, di nome Giuseppe Cesio, che redasse per 84 maestri maggiorenti vetrai lo “Statuto della Associazione Artistico-Vetraria di Altare” nei pressi di Savona, che si costituì il 24 Dicembre 1856, mentre nel 1854 era stato costituito il Magazzino di previdenza di Torino, una Cooperativa di Consumo, la prima di questo genere.


È dalla metà dell’Ottocento, in Italia, che le cooperative cominciarono a svilupparsi con continuità, soprattutto al nord e al centro. La notevole crescita del fenomeno cooperativo condusse, il 10 ottobre 1886, alla nascita della “Lega delle cooperative”, di indirizzo socialista e nel 1908 alla Federazione Cattolica delle Cooperative agricole italiane.


Tale sviluppo vide una battuta d’arresto enorme con l’avvento del fascismo, che osteggiò enormemente lo sviluppo del movimento, vedendo in esso uno strumento politico delle forze d’opposizione. La creazione dell’Ente Nazionale Fascista per la Cooperazione costituì in realtà unicamente un modo, per il regime, di sottomettere il fenomeno cooperativo all’ordinamento corporativo fascista.


Nel dopoguerra, lo slancio cooperativo riprese immediatamente e con forza, dimostrando che il fascismo non era riuscito a spegnere il sentimento che ne stava alla base, anche se, nel drammatico confronto politico postbellico, la Democrazia Cristiana decise di staccarsi dalla lega delle cooperative, dove socialisti e comunisti manifestavano indirizzi politici molto differenti da quelli che la DC voleva che fossero prioritari nel mondo cattolico.


Le cooperative, esattamente come era stato per le Associazioni di mutuo Soccorso, oltre ad occuparsi della qualità della vita dei lavoratori fornendo sostegno e soluzioni ai tanti problemi di una classe sociale bistrattata e sfruttata, divennero luoghi di dibattito politico, di confronto e di crescita culturale. Si trattò di un processo che condusse fuori dal buio della mancanza di istruzione e di cultura migliaia e migliaia di persone nel nostro paese, contribuendo alla crescita economica, ma anche a quella sociale della popolazione: fu anche grazie alla cooperazione che vaste masse proletarie, dalle quali in molti abbiamo origine, riuscirono a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel processo di modernizzazione di un Italia ancora giovane e, per tanti versi, illiberale.